Quello della gestione e della conservazione dei documenti digitali è un ambito in costante evoluzione, dove i cambiamenti si rincorrono con frequenza.
Può quindi capitare che si faccia confusione tra due espressioni che solo apparentemente sono simili ma che, invece, presentano delle differenze ben precise. Come conservazione digitale e conservazione sostitutiva.
Facciamo un po’ di chiarezza sull’utilizzo di queste due espressioni.
Conservazione sostitutiva
Fino a qualche anno fa, per conservazione sostitutiva s’intendeva la dematerializzazione di un documento originale analogico/cartaceo e la conservazione in ambiente digitale della copia informatica prodotta. Più semplicemente è il procedimento di “trasformazione” di un documento analogico (cartaceo) in un documento formato digitale (ad esempio in .pdf).
L’espressione conservazione sostitutiva viene usata in maniera impropria e sopravvive, in particolare, in un ambito ben specifico: quando si parla di digitalizzazione di fatture la cui versione originale è in formato cartaceo.
Conservazione digitale
La conservazione digitale si riferisce all’insieme dei processi e delle pratiche da mettere in atto per procedere con:
- La conservazione dei documenti nati in ambiente digitale;
- La conservazione dei documenti nati in formato analogico e “convertiti” in formato digitale.
La conservazione digitale (un’attività sempre più fondamentale per PA, enti, organizzazioni, studi professionali e imprese) può riguardare, ad esempio, queste tipologie di documenti:
- Libro degli inventari;
- Scritture;
- Registro beni;
- Dichiarazioni fiscali;
- Libri sociali;
- Bilanci d’esercizio;
- Fatture attive e passive e ricevute fiscali;
- Libro paga.
Inoltre, la conservazione digitale può essere gestita internamente oppure, scelta sempre più diffusa, in outsourcing.
Nella seconda ipotesi, bisogna sempre affidarsi a operatori qualificati e con grande esperienza nel settore. Nel caso delle PA l’affidarsi a Conservatori qualificati è un obbligo sancito dalla normativa.