Il cambiamento è già in atto. Il lavoro, in un certo senso, non sarà più come prima. E sia nel settore pubblico quanto nel settore privato ci sono dei riscontri nettamente positivi. Come a dire: la strada da percorrere è ancora lunga ma i presupposti ci sono davvero tutti.
Certo, non può essere considerato strettamente una “novità”. Ma i dati sulla diffusione dello smart working in Italia parlano chiaro: si tratta di un trend in costante ascesa. Un’ascesa che è cominciata negli scorsi anni e che, recentemente, si sta consolidando sempre di più.
Temi:
- Cos’è lo smart working
- Dati e numeri
- Comunicazione e informativa sullo smart working
- Smart working: le best practice
- Bucap: professionisti dello smart working
Cos’è lo smart working
La risposta alla domanda “cos’è lo smart working” è contenuta nell’articolo 18, comma 1 della legge 22 maggio 2017, n.81:
Modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
È un modo diverso di concepire il lavoro. Sia perché l’attività lavorativa non è più legata strettamente né a orari stabiliti né a un luogo di lavoro fisico. Sia perché la risorsa si concentra unicamente sul raggiungimento di un determinato obiettivo, di uno specifico risultato.
Inoltre, come si vedrà meglio più avanti, questa definizione anticipa due elementi fondamentali dello smart working:
- Bisogna adottare specifiche quanto professionali soluzioni tecnologiche;
- I workflow lavorativi, sia in una PA sia in un’azienda, vanno ripensati.
Dati e numeri
Bisogna, per analizzare correttamente i numeri riguardanti la diffusione dello smart working, fare una differenza fondamentale: quella, cioè, tra settore pubblico e settore privato. Complessivamente, bisogna considerare che più di 6 milioni e mezzo di italiani lavorano in smart working.
Diffusione dello smart working nel settore privato
Nonostante, in alcuni casi, i tempi per adattarsi siano stati effettivamente ridotti, le aziende italiane hanno reagito molto bene alla necessità di implementare programmi di smart working:
- La quasi totalità delle grandi aziende italiane, per la precisione il 97%, ha, in sostanza, attivato il proprio programma di smart working;
- Numeri molto interessanti anche per quanto riguarda le Pmi: circa il 58% delle piccole e medie imprese ha deciso di adottare un programma di smart working, totale o parziale;
- Il 70% delle grandi imprese ha aumentato o aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole a circa 2,7 giorni a settimana.
Dal punto di vista delle opinioni dei lavoratori:
- Per il 73%, le modalità di lavoro e la mole di lavoro sono ottime;
- Per il 76% e per il 72% (rispettivamente), l’efficacia e l’efficienza sono aumentate;
- Per il 65%, lo smart working ha portato innovazione nel modo di lavorare.
Sia da parte delle aziende sia da parte dei lavoratori, c’è un chiaro interesse per quanto riguarda la possibilità di lavorare in smart working.
(Fonte dati: Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, presentati durante il convegno online “Smart Working il futuro del lavoro oltre l’emergenza” – i dati sono relativi al 2020.)
Diffusione dello smart working nel settore pubblico
Anche lo smart working nella pubblica amministrazione è ormai una realtà. La scorsa primavera, la media regionale di impiegati nella pubblica amministrazione che lavora in smart working è del 73,8%.
Del resto, la pubblica amministrazione è stata chiamata subito in causa per dare una risposta rapida ed efficace alla necessità di lavorare in smart working. Ci sono delle differenze tra regioni. Ma, nonostante le differenze, un dato resta: lo smart working nelle pubbliche amministrazioni viene applicato in maniera proficua, per quanto sempre migliorabile.
(Fonte: Funzionepubblica.gov.it, dati aggiornati al 21 aprile 2020)
L’interesse della pubblica amministrazione verso lo smart working è stata confermata dal Decreto Ministro PA 19 ottobre 2020. Che prevede (i punti salienti):
- Ogni pubblica amministrazione deve fare in modo che almeno il 50% del personale impiegato lavori in modalità agile;
- Gli enti devono assicurare le percentuali più elevante possibili di risorse in smart working;
- Il lavoratore deve alternare giornate lavorative in presenza a giornate lavorative in remoto;
- Fino al 31 dicembre 2020, ogni PA può implementare lo smart working in modalità semplificata.
Smart working dopo l’emergenza Covid-19
La grande diffusione che sta avendo lo smart working in questi mesi è, per forza di cose, legata al Covid-19. Ma non bisogna pensare che il lavoro agile finirà con l’emergenza. Dai dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, infatti, emerge che, complessivamente, i lavoratori che continueranno con lo smart working saranno 5 milioni e 350mila, così divisi:
- 1 milione e 720 mila nelle grandi imprese;
- 950mila nelle piccole e medie imprese;
- 1 milione e 230mila nelle microimprese;
- 1 milione e 480mila nelle PA.
Insomma: lo smart working è tutt’altro che un fenomeno passeggero e tanto le aziende quanto le pubbliche amministrazioni dovranno adeguarsi.
Comunicazione e informativa sullo smart working
Come fare e come funziona lo smart working sono alcuni dei dubbi più diffusi in questi tempi. Al riguardo, ci sono dei punti da tenere sempre ben presenti:
- Il principale riferimento normativo sullo smart working è rappresentano dalla legge 22 maggio 2017, n. 81, “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”;
- Lo smart working, prima di essere implementato, deve sempre prevedere un accordo scritto tra lavoratore e datore di lavoro;
- Lo smart working non comporta modifiche né alla retribuzione né al numero di ore lavorative settimanali;
- L’azienda/PA deve dotare il lavoratore di tutti i necessari strumenti per svolgere il proprio lavoro in modalità agile;
- L’azienda deve comunicare tutte le informazioni sul lavoro agile tramite il portale lavoro.gov.it.
Smart working: le best practice
Come specificato all’inizio, lo smart working è un trend sempre più in ascensa. Un trend che, però, richiederà, sia alle aziende sia alle pubbliche amministrazioni, di farsi trovare preparate agli inevitabili cambiamenti.
Come fare? La risposta è semplice: basta seguire le best practice che riguardano le modalità di gestione del lavoro agile e i più efficaci strumenti da utilizzare.
Consigli per lo smart working
La possibile disorganizzazione è l’unico possibile svantaggio legato allo smart working: il lavoratore non deve essere lasciato solo nella gestione del lavoro agile ma deve avere a disposizione delle linee guida, condivise internamente e comuni per tutti i dipendenti.
Linee guida come queste, che aiutano, e tanto, a gestire il lavoro in smart working nel modo più corretto:
Approfondimento: Smart working: 5 consigli pratici per gestire il lavoro agile
Strumenti per lo smart working
Come la normativa specifica, il lavoro in smart working richiede l’utilizzo di appositi strumenti. Strumenti che favoriscano la collaborazione del lavoro, la condivisione di documenti/informazioni, le comunicazioni tra tutti i lavoratori.
E qui è possibile trovare i migliori strumenti per lavorare in smart working:
Approfondimento: Smart working: gli strumenti e le soluzioni per lavorare da casa
Bucap: professionisti dello smart working
Lo smart working, quindi, richiede professionalità e competenze. Perché bisogna scegliere e implementare strumenti tecnologici, rivedere i processi e i workflow documentali, formare risorse, adottare best practice, seguire la normativa alla lettera.
Tanti buoni motivi per affidarsi subito ai professionisti dello smart working.
Bucap: soluzioni professionali per il lavoro in smart working
La corretta tenuta e archiviazione dei documenti cartacei è un’attività che richiede molte risorse:
- Risorse umane: il personale addetto alla gestione dell’archivio deve essere competente e sempre aggiornato sulla normativa relativa alla conservazione documentale e della privacy (nel caso in cui i documenti conservati racchiudessero dati sensibili).
- Risorse di spazio e oneri di sicurezza: come ben sa chi gestisce un archivio analogico la sedimentazione dei fogli di carta e dei faldoni può richiedere ampi spazi. I locali destinati ad archivio, inoltre, devono essere adeguati alle normative sulla sicurezza. Infatti la custodia dei documenti deve essere improntata sul principio della riduzione al minimo dei rischi di smarrimento e distruzione (o deterioramento) dei dati conservati.
- Risorse di tempo: la gestione di un archivio cartaceo richiede tempo per l’archiviazione e la gestione del ciclo di vita del documento archiviato.
Per sollevare la struttura da questi costi, pubbliche amministrazioni e organizzazioni private, come aziende, studi professionali, banche e assicurazioni, possono puntare su un servizio professionale di tenuta degli archivi cartacei: la risposta a norma di legge a un’incombenza che può distrarre da investimenti più produttivi delle risorse impiegate.
Che si parli della tenuta dell’archivio corrente, di deposito o storico un buon servizio di gestione di un archivio cartaceo può garantire i migliori standard per ciò che riguarda i requisiti tecnici dei locali, la preparazione del personale e la salvaguardia dei documenti depositati.