Nella storia degli archivi, la modernità ha visto consolidarsi il concetto di archivio quale luogo deputato alla conservazione della memoria pubblicamente condivisa, prima ancora che insieme di documenti. I documenti conservati privatamente potevano soddisfare l’onere della prova, a discrezione dei giudicanti, solo in sede di contestazione tra privati, davanti ai tribunali territoriali.
Gli archivi pubblici diventano l’arsenale dell’autorità (Henri Bautier): gli strumenti del potere per legittimare i possessi di nobili, istituzioni ecclesiastiche e case regnanti. Da questo punto di vista, già dal Medioevo si erano conosciute tutte le potenzialità di un documento: su un testo (peraltro falso) come la Donazione di Costantino, aveva gettato le fondamenta del potere temporale della Chiesa.
I documenti conservati negli archivi, diventano gli strumenti per dirimere le contese tra gli Stati e diventano oggetto dei trattati di pace. Dato il potere riconosciuto, gli archivi assumono un ruolo centrale e diventano ambito di grande attenzione per le burocrazie dell’epoca moderna.
La percezione agli archivi e la logica di gestione documentale, durante questo periodo, rimangono quelle di mera raccolta di un patrimonio informativo disorganizzato. La tradizione archivistica non ha ancora raggiunto la sua maturità e gli archivi non sono ancora un insieme organico e razionale.
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